Nelle cronache politiche delle reti nazionali e dei grandi media, ad ogni occasione ci vengono proposte opinioni, in vero trasversali, in base alle quali la la politica nazionale e gli assetti statali verserebbero in una condizione di sostanziale fallimento o di amministrazione straordinaria, mentre dall’altro lato i virtuosi comuni italiani (riuniti nella potente ANCI-lobby), legittimati dal rapporto diretto con la popolazione, darebbero ancora prova di resistenza, di capacità amministrativa e di ogni positivo agire rispetto alle comunità che essi rappresentano.
Tuttavia per quanto riguarda le situazioni locali nessuno fino ad oggi si è voluto rendere conto, o non ne ha dato sufficiente espressione e risalto, che esiste un problema di carattere strutturale che tocca persino l’essenza costituzionale, repubblicana e democratica dei nostri sistemi locali, quanto meno quelli di maggiori dimensioni. Per questi la crisi in realtà esiste ed è più profonda di quanto non sembri, e non cambierebbe di molto la situazione e la modalità con cui oggi si procede alle scelte in questo livello di governo anche qualora vi fosse la diffusa ripresa elettorale di una (molto) ipotetica opposizione o un'alternanza. In altri termini nei tanti frammenti municipali che compongono questo Paese ci troviamo in altrettanti piccoli e grandi default. Una moltitudine di sotto-sistemi bloccati, sia negli aspetti istituzionali che in quelli economico-sociali.
Vediamone alcune ragioni.
La legge per l’elezione diretta del sindaco, elaborata e scritta in un periodo diverso da questo (anni ‘90-’93 del novecento), supponeva che il problema principale di un ente territoriale sub statale fosse quello della governabilità. Vigeva ancora una concezione unitaria, sistemica, delle articolazioni pubbliche e non pseudo-federale, nonostante l’affermazione di qualche figura di spicco erano i partiti e le correnti che pigliavano tutto, non i singoli. Esistevano alcuni artificiosi contrappesi sia interni ai contenitori politici che nelle istituzioni, una sorta di anomalo pluralismo spartitorio, ma in questo modo tutto italiano un certo equilibrio di poteri e forze; il taglio netto del bipolarismo e la personalizzazione – che nelle realtà locali sono un fatto consolidato - erano un orizzonte piuttosto lontano. Come sappiamo il quadro è cambiato di molto e questi ultimi aspetti della vita politica sono diventati i tratti salienti dell’attuale regime e dei più piccoli sotto-regimi che compongono il mosaico italiano.
Se vogliamo utilizzare l’espressione regime riferendola ai luoghi in cui viviamo, la situazione è quindi ben peggiore di quella che quotidianamente ci viene presentata per lo Stato centrale. Oggi (anche) in base alla legge citata chi viene eletto sindaco, sia al primo turno che al ballottaggio, riceve una spinta plebiscitaria e, in base al meccanismo dei collegamenti delle liste e ad un premio in seggi senza precedenti, entra nel palazzo con una maggioranza bulgara a suo esclusivo sostegno. Così, quelli che ancora inopportunamente vengono chiamati assessori sono semplici delegati, revocabili dal loro mandato a discrezione e senza preavviso; la dirigenza viene di fatto sostituita dagli uffici di staff del nuovo sindaco, personale esterno sottratto al vincolo costituzionale per l’accesso al pubblico impiego e con contratti da managers privati e benefits vari. La stessa avvocatura municipale , se necessario, viene impiegata in preminente difesa di un solo soggetto, il sindaco, e così pure le consulenze - quelle ufficiali e visibili e quelle invisibili - tutte ugualmente finalizzate all’affermazione di colui che sta al vertice del palazzo. Le principali nomine negli enti e nelle aziende sono effettuate per Statuto dal sindaco stesso o dal suo, in senso letterale, Consiglio, e così la holding pubblica municipale, la più rilevante in senso assoluto sempre presente nel territorio, viene indirizzata e vigilata innanzitutto per far guadagnare consenso al suo azionista di riferimento.
Ed ancora, le relazioni dei gruppi di interesse diventano personali e non istituzionali; viene meno in questo modo ogni vincolo legale ed etico con esso trasparenza, economicità, adeguatezza… e prevale inevitabilmente l’interesse particolare rispetto a quello pubblico e generale. Il palazzo si trasforma da casa di vetro dei cittadini e per i cittadini, in sede privata degli interessi sia politici che privati della casta locale, trasversalmente e funzionalmente legata al sindaco, con i relativi clienti.
Tutto questo sul piano dell’ordinamento costituzionale e dei più generali principi democratici sarebbe già di per sé una pesante anomalia, se non fosse che un altro meno noto, ma ancora peggiore, assetto risulta essere intervenuto in modo devastante sulla democrazia locale. Eliminati per legge i controlli esterni di legittimità degli atti comunali; reso di fatto inoperativo il visto di legittimità del segretario generale, ben sostituito nelle funzioni apicali dal management para-privato del sindaco; negata ogni funzione di controllo sulla legalità dell’operato degli organi da parte della prefettura, che solo formalmente conserva le funzioni governative decentrate di garanzia; integralmente inapplicato il controllo disciplinare e contabile sulla dirigenza e sulle decisioni implicanti spesa adottate dagli organi politici; rifiutata ovunque ed energicamente l’introduzione di un codice etico vincolante per gli eletti locali; da ultimo eliminata la funzione amministrativa comunale della difesa civica.
Questo è il contorno istituzionale; questa è l’assenza di contrappesi, vale a dire regime.
All’esterno delle istituzioni, dal lato della cosiddetta società civile, se possibile, le cose vanno ancora peggio. Molte organizzazioni professionali e imprenditoriali in molti luoghi trovano utile semplificare i loro rapporti con il complesso pubblico (comune, provincia, regione, stato) investendo di fatto della loro rappresentanza in ogni sede l’entourage del sindaco, quindi il sindaco stesso, che in questo modo si trova ad agire come super-lobbista di ogni comparto, ed al contempo, come esterno ma determinante arbitro e gestore delle scelte delle diverse rappresentanze economiche e sociali, piegate di fatto a tale invasiva presenza. I media presenti, collegati negli assetti proprietari al ceto imprenditoriale, conseguentemente restano soggetti, senza alcuna possibilità di scampo, alla volontà del proprio azionista di riferimento, definiamolo pure attento editore, che, ancora una volta, indirettamente risulta essere il sindaco. Conclusione: nessun controllo sociale ed una rappresentazione della realtà, un’agenda, totalmente nelle mani di un efficiente e ben finanziato organismo multidisciplinare e para-istituzionale di consulenza politica, in larga parte pagato dal contribuente, solitamente ed erroneamente definito ufficio stampa del sindaco.
Il risultato ?
Un’immagine della città e di quanti vi risiedono completamente sovrastata dalla figura del primo e si potrebbe dire unico cittadino; una corte acritica più o meno allargata e accondiscendente che gravita e prospera attorno e per concessione di questa figura. Un’ipoteca politica, economica e culturale accesa in una tornata amministrativa e gravante su di un’intera comunità a esclusivo vantaggio di un individuo. All’interno della società civile, quella delle gente comune, invece una spaccatura netta tra coloro che si identificano acriticamente nel sindaco e coloro che si sentono lontani da questa visione e diversi: una ferita aperta che incide profondamente e negativamente sulla coesione sociale e culturale del luogo, se vogliamo, persino sulla compattezza e competitività del sistema.
m.b.